“Detenuti, assunzioni e sgravi fiscali. Una seconda chance per chi ha sbagliato”
Articolo in PDF
“Detenuti, assunzioni e sgravi fiscali. Una seconda chance per chi ha sbagliato”
Articolo in PDF
“Ristoratore assume un detenuto «Così lo aiuto a rifarsi una vita»”
Articolo in PDF
“Così i detenuti a Viterbo realizzano borse e sacche con vele riciclate”
Articolo in PDF
“Libero dopo 21 anni, ora per me anche lo smog profuma di novità”.
Articolo in PDF
“Seconda chance per i detenuti di Mammagialla: realizzano vele e borse per un’azienda di Prato”
Articolo in PDF
“Una Seconda chance per i detenuti: I vantaggi e la solidarietà offerti dalla legge Smuraglia: l’iniziativa di una giornalista romana”
Articolo in PDF
“Seconda Chance, un ponte tra il mondo della produzione e le persone in carcere”
Articolo in PDF
Lavoro ai detenuti: fa bene anche agli imprenditori che li assumono. Il progetto Seconda Chance
Cronista giudiziaria, da sempre impegnata nel sociale, Flavia Filippi ha lanciato questa iniziativa per dare un’opportunità lavorativa a persone in esecuzione penale e consentire l’abbattimento del costo del personale a chi li assume.
Dare lavoro ai detenuti e al contempo abbattere il costo del lavoro stesso. Significa compiere un gesto di grande valenza sociale, e per di più conveniente per le imprese: è la missione quotidiana di Flavia Filippi che, compatibilmente con il suo lavoro di cronista giudiziaria a La7, ha lanciato il progetto Seconda Chance
Il progetto Seconda Chance
«Durante il lockdown, a causa del fermo dell’attività giudiziaria, mi sono ritrovata con tanto tempo libero» racconta Filippi: «Da sempre impegnata nel s ociale, ho deciso di rendermi utile approfondendo la Legge Smuraglia, che prevede sgravi fiscali e contributivi per le imprese che assumono detenuti». Così la giornalista racconta l’origine del suo progetto con cui offre a tante persone in esecuzione penale un’opportunità lavorativa nonché di reinserimento sociale.
La rete costituita con aziende e istituzioni
A sostenerla sin dall’inizio, il Garante dei detenuti di Roma, Gabriella Stramaccioni, che l’ha messa in contatto con il Provveditore alle carceri di Lazio, Abruzzo e Molise, Carmelo Cantone.
«Poco più di un anno fa, ho iniziato a stipulare accordi e protocolli d’intesa con associazioni di categoria, cooperative e aziende pubbliche, come per esempio l’ANCE (Costruttori edili), con l’Unione Artigiani Italiani, con l’Istituto Superiore della Sanità. E sono riuscita a costruire una rete ben solida e articolata» spiega illustrando le sue giornate in cui si divide tra lavoro e incontri in bar, ristoranti, centri sportivi della capitale per chiedere ai proprietari se hanno bisogno di personale e, dunque, se hanno intenzione di dare una seconda chance a un detenuto, usufruendo dei vantaggi fiscali.
L’empatia tra detenuti e imprenditori
Talvolta, inevitabilmente, si imbatte nella reticenza di alcuni titolari, ma, quando comprendono la valenza del progetto, la maggior parte aderisce: «Quando gli imprenditori arrivano in carcere e incontrano i detenuti per il colloquio, in quel preciso istante, scatta la scintilla dell’empatia e, talvolta, ne assumono più del previsto» dice l’ideatrice di Seconda Chance.
Grande interesse ed entusiasmo si registra anche tra i detenuti del carcere di Rebibbia, da cui è partito il progetto, ora, in espansione sull’intero territorio nazionale.
Lavoro ai detenuti di Rebibbia
«Non vengono scelti a caso, l’amministrazione penitenziaria seleziona i detenuti con il profilo più congruo alle figure professionali che mi richiedono all’esterno. Dopodiché organizziamo i colloqui a Rebibbia, tenuti dall’ispettore Cinzia Silvano insieme agli educatori che fanno raccontare le proprie competenze al detenuto, per poi comunicare le peculiarità dei singoli agli imprenditori» dichiara Filippi, sempre presente a ogni colloquio, durante i quali prende appunti per poi stilare le schede di ognuno.
I detenuti assunti all’Istituto Superiore di Sanità
È una vera e propria cerniera che congiunge detenuti e imprenditori: in questi mesi ha raggiunto obiettivi importanti come l’assunzione di tre detenuti presso l’Istituto Superiore di Sanità. Inizialmente sono stati impiegati nella falegnameria, ora stanno svolgendo diversi lavori di riparazione e manutenzione all’interno e all’esterno dell’edificio e, presto, si occuperanno del restauro della sirena d’allarme di San Lorenzo che suonò prima del bombardamento del luglio 1943.
«Sono persone serie: diamo loro la possibilità di dimostrarlo»
«Le richieste aumentano quotidianamente, mi contattano da ogni angolo d’Italia, anche gente che si offre per aiutarmi a realizzare il sito e a registrare il marchio. Il mio impegno viene ripagato dalla soddisfazione che percepisco negli occhi dei detenuti. Sperano tanto di avere una possibilità per dimostrare di essere diversi rispetto al cliché che li fa apparire tutti inaffidabili» afferma la giornalista che, proprio in questi giorni, è riuscita a creare una connessione anche tra un’azienda di Garbagnate e il carcere di Bollate, oltre ad avere fatto assumere presso il Parco Nazionale del Circeo due persone in esecuzione penale nel carcere di Velletri.
Il rispetto delle competenze
A breve partiranno corsi di formazione con la Croce Rossa e la Rai; a mostrare grande interesse anche il Ministero dell’Agricoltura con cui Filippi stipulerà un protocollo che consentirà di contribuire fattivamente alla carenza di personale nelle aziende agricole.
«Mi batto affinché l’incrocio domanda-offerta avvenga nel rispetto delle competenze e delle attitudini di ogni singolo detenuto. Sembra una pretesa, ma, se possibile, ci tengo a garantire un lavoro che assecondi le loro propensioni» ribadisce soffermandosi sull’iter burocratico particolarmente controllato: trascorsi all’incirca due mesi, quando il magistrato di sorveglianza dà parere positivo, la persona selezionata va a lavorare presso l’azienda.
La bacheca Seconda Chance a Rebibbia
In questi giorni, a semplificare l’incrocio domanda-offerta, è giunta la bacheca Seconda Chance realizzata all’interno di Rebibbia, dove ogni detenuto ammesso al lavoro all’esterno, in virtù dell’art. 21 dell’ordinamento penitenziario, può affiggere una scheda con le proprie competenze, aiutato da due detenuti laureati in legge.
Il progetto in espansione
«Non mi aspettavo un tale successo nel giro di così pochi mesi – confida – tante persone mi stanno supportando, ci sono i presupposti per strutturare meglio questo progetto, prevedendo magari un referente in ogni regione o provincia. Sicuramente alcuni detenuti proseguiranno il rapporto di lavoro anche dopo aver finito di scontare la pena».
L’ex detenuta che potrà riabbracciare le figlie
L’importanza di un reinserimento sociale anche prima della fine della pena è chiaro nelle parole di Flavia Fillippi e nelle storie delle persone che sta aiutando: «Con ogni singolo detenuto si instaura un rapporto umano. Qualche mese fa sono riuscita a far assumere anche una donna ex detenuta che non rientrava nei benefici previsti dalla Legge Smuraglia. Aveva disperato bisogno di un lavoro per recuperare la patria potestà sulle sue due figlie. Non è stato semplice, ma ora, grazie all’assunzione a tempo indeterminato in una ditta di pulizie, potrà ricongiungersi con i suoi affetti più cari» conclude Filippi, fiera di riuscire ad offrire un’opportunità di riscatto sociale, ma anche di poter attestare concretamente la funzione rieducativa della pena detentiva.
Mancano camerieri e chef, diamo una seconda chance ai detenuti. “Siamo un popolo di camerieri“, diceva Indro Montanelli. Lui lo diceva in modo sprezzante, per intendere il servilismo sciocco degli italiani. Noi, invece, che rispettiamo un lavoro serio e importante, diciamo: magari lo fossimo. E invece, come è noto, non se ne trova uno neanche a pagarlo. Certo, li si pagano poco, e questo fa parte del problema. Ma non lo esaurisce, perché il problema è strutturale. La manodopera manca, sia in sala sia in cucina. Dopo le polemiche su Lamantia, e abbiamo parlato qui e ne ha scritto bene anche Paolo Manfredi qui. Ma resta il punto. Manca personale. Dove trovarlo? Flavia Filippi, giornalista di La7, ha avuto un’idea semplice ma importante. Da una parte, ha pensato, c’è il mondo del lavoro che ha bisogno di personale e non lo trova. Dall’altra, ci sono migliaia di persone che hanno sbagliato, si sono macchiate di qualche colpa e la stanno scontando in carcere, che possono avere una possibilità di redimersi, di riconciliarsi con la società. Come mettere in contatto questi due mondi? Un primo passo l’ha fatto la legge Smuraglia, che offre importanti sgravi fiscali a chi assume, anche a tempo determinato, detenuti. Il secondo è quello di far parlare il mondo del carcere e quello delle imprese. E qui si è spesa, e si spende, in prima persona. I risultati ci sono e sono già molto importanti.
Roma, casa circondariale di Rebibbia “Raffaele Cinotti”. Davanti a una porta chiusa del reparto G8, un tempo noto come ‘penalino’ e destinato ai condannati definitivi, c’è una piccola fila di detenuti in attesa. Tutti hanno in mano una cartellina, inseparabile equipaggiamento dell’istante: in gergo, colui che ha chiesto un colloquio con educatori, avvocati, magistrati di sorveglianza e chiunque possa offrire un incontro con il ‘mondo esterno”. Il reparto G8 pullula di copie di istanze, ordinanze, calcoli su posizioni giuridiche, ma anche lettere e fotografie di persone care.
Oggi, 4 maggio, gli incontri nel reparto G8 hanno qualcosa di diverso. L’ansia che percorre la fila delle persone in attesa è palpabile: “Sono in corso i colloqui tra imprenditori e detenuti per il progetto ‘Seconda chance’. I candidati sono 17 per 7 profili richiesti da un grande ristorante romano”. A motivare l’insolita tensione è l’ispettrice Cinzia Silvano, coordinatrice del reparto e figura chiave delle iniziative, delle attività e degli spazi propedeutici al lavoro esterno dei reclusi. Il suo ufficio si trova proprio davanti all’aula in cui si stanno tenendo i colloqui di ‘Seconda chance’.
Il progetto è nato da un’idea di Flavia Filippi, cronista giudiziaria del TgLa7. “Durante tanti anni di lavoro mi sono resa conto che in carcere finiscono spesso persone che non hanno avuto opportunità o non si sono potute permettere l’avvocato giusto. Hanno diritto a un’altra possibilità, rappresentata principalmente da un lavoro. Ho pensato che un punto di partenza poteva essere divulgare i vantaggi economici per gli imprenditori, previsti dalla legge 22 giugno 2020 n.123, conosciuta come Legge Smuraglia”. Flavia Filippi racconta che da gennaio 2021 ha iniziato a contattare incessantemente imprese, associazioni di settore, agenzie per il lavoro, istituzioni pubbliche e altre realtà che potrebbero essere interessate al tema.
“Prima di muovermi ho chiesto informazioni alla garante comunale dei diritti dei detenuti Gabriella Stramaccioni e, tramite lei, ho iniziato a collaborare con il Provveditore dell’amministrazione penitenziaria di Lazio, Abruzzo e Molise, Carmelo Cantone.” I contatti, che la giornalista definisce ‘porta a porta’, sono iniziati in un periodo ancora di piena crisi dovuta alla pandemia. Ma con la graduale ripresa, sono arrivati i primi protocolli d’intesa con il Consiglio Nazionale delle Ricerche, l’Associazione Nazionale Costruttori edili, l’Agenzia del lavoro Orienta e l’Unione artigiani.
Oggi sono circa 40 i detenuti che già lavorano all’esterno o sono in attesa di essere assunti. Tra loro ci sono Pasquale, Gennaro e Antonello che svolgono lavori di falegnameria e riparazioni all’Istituto Superiore di Sanità: lucidano tavoli, riparano cassetti e aggiustano i ripiani di una vecchia libreria. Presto avranno il delicato incarico di restaurare la sirena d’allarme di San Lorenzo, che suonò prima del bombardamento del luglio 1943. Tra gli ultimi che hanno trovato lavoro grazie a ‘Seconda chance’, c’è Francesco che, dopo 21 anni di carcere, ha iniziato a lavorare nelle cucine del ristorante romano ‘Le Serre Vivi’. In un lontano passato Francesco faceva il cuoco a Palermo. In carcere ha avuto modo di continuare a tenersi in allenamento e a esercitare la creatività in cucina, arrivando a essere il cuoco responsabile di 1.600 pasti giornalieri.
“Nessuna delle circa cento aziende da me interpellate in quasi 5 mesi mi ha detto di aver mai sentito parlare della Legge Smuraglia – spiega Flavia Filippi -. Non nascondo che, nella mia ricerca di opportunità per i detenuti, qualche volta mi sono vista sbattere la porta in faccia. Molti tergiversano, si lasciano spaventare dal reato, altri dicono che richiameranno e non lo fanno. In sostanza ho calcolato che su 30 imprenditori che mi dicono di no, ne incontro uno disponibile. A volte faccio degli incontri fortunati, dove c’è un’immediata empatia, come quello con Alessandro Cantagallo che ha chiesto un manutentore, un aiuto cuoco, un runner, un idraulico, un elettricista e due addetti alle pulizie per il ristorante della sua famiglia, dentro allo spazio del museo MAXXI”.
Il progetto coinvolge ormai molti Istituti del Provveditorato e anche altre realtà italiane. Nell’istituto romano si è ormai collaudato un modello di recruiting Seconda chance, al quale lavorano, insieme a Flavia Filippi, l’ispettrice Cinzia Silvano e le educatrici coordinate da Giuseppina Boi. “I candidati effettuano un colloquio con l’imprenditore interessato per valutare competenze e motivazioni” racconta l’ispettrice Silvano. “Al colloquio assistiamo io e un educatore, oltre alla promotrice di ‘Seconda chance’. Per evitare condizionamenti, informiamo l’eventuale datore di lavoro dei reati del candidato solo dopo che è avvenuto il colloquio. Sono poi le aziende a inoltrare all’interessato e all’amministrazione la richiesta di lavoro”.
Il lavoro professionalizzante è centrale nel progetto dell’Istituto diretto da Rosella Santoro. La società Panta Coop occupa, ad esempio, detenuti nella torrefazione e in attività di controllo e pedaggio autostradale. Altri lavorano in sartoria, altri ancora nel call center per il servizio CUP Ospedale Bambino Gesù della Coop E-team, che all’esterno ha assunto altre 20 persone in semilibertà.
“Tra i detenuti ci sono professionalità che aspettano solo di essere valorizzate o di crescere”, continua l’ispettrice mentre illustra i tanti spazi che ospitano le lezioni di formazione o dove presto si terranno nuovi corsi. Dalla falegnameria, alla sala musica dove si alterneranno docenti dell’Orchestra di Piazza Vittorio, al giornale Dietro il cancello, coordinato da Federico Vespa, alla sala prove della compagnia La ribalta di Laura Andreini. Alcuni di questi locali sono stati ristrutturati dagli stessi detenuti, come quello che ospita il corso per sommelier del Cavalieri Hilton, finanziato dalla Fondazione Severino e a cui sono stati ammessi 33 detenuti.
“Era un deposito e ora è un luogo vitale. La dimostrazione che gli spazi prima di essere fisici sono mentali, sono spazi di pensiero. Se immaginiamo lo spazio come un luogo che all’interno del carcere, resterà un luogo chiuso. Se lo immaginiamo aperto, rivelerà potenzialità inaspettate anche all’interno del carcere”. L’ispettrice viene fermata di continuo dai detenuti che le chiedono informazioni sull’inizio dei nuovi corsi o sollecitano autorizzazioni per attrezzi, colori, pennelli e arnesi vari. “In molti casi il rapporto di fiducia e di lealtà con i detenuti inizia qui. Ho capito che per non avere troppe delusioni bisogna conoscere le persone detenute nella loro complessità e se sono chiuse in cella non ci si riesce – aggiunge Cinzia Silvano –. Dopo sono loro a scegliere un percorso che in genere è graduale: si parte con gli articoli 20 ter – lavori di pubblica utilità -, poi passa al lavoro con scorta prima di accedere all’art. 21 che consente di andare a lavorare all’esterno, liberi”.
Attualmente i posti del Padiglione Venere, settore del G8 destinato ai lavoranti esterni, sono quasi tutti occupati. “Seconda chance – continua Silvano – ha dato un impulso notevole al lavoro all’esterno, al punto che sto cercando di ottenere un ulteriore ampliamento del padiglione dopo quello che abbiamo già realizzato nel 2019: inizialmente i posti erano 15, oggi sono 50”.
Lungo il corridoio del Padiglione Venere si sviluppano una serie di stanze di pernottamento, a due o più letti, luminose, pulite e quasi ordinate, considerato che si tratta di uno spazio comunque condiviso. Ci sono una lavanderia, una biblioteca, un’area living e due cucine dove i detenuti mangiano insieme: sono locali accoglienti, arredati con elettrodomestici e suppellettili frutto di donazioni.
“Ogni mattina – conclude l’ispettrice – quando percorro viale Majetti per raggiungere l’Istituto, incontro un piccolo fiume di detenuti che percorre la strada in senso inverso: io entro in carcere, loro escono. Sono camerieri, giardinieri, archivisti, artigiani, cuochi, aiuti cuochi. Ci salutiamo mentre andiamo a lavorare. Credo che questo sia il senso del mio impegno: valorizzare energie che andrebbero perdute e restituire alla società persone migliori”.
“Meno costi se assumi detenuti”.
Articolo in PDF
Compila il form con in tuoi dati